USA – CINA: chi sarà il vincitore post – coronavirus? – Sommario
- A seguito dell’espandersi del Coronavirus a livello globale, insorgono i primi dubbi sul rispetto dell’accordo di fase 1 tra USA e Cina.
- Inoltre, tra USA e Cina è di nuovo guerra commerciale
- La ripresa è ancora lontana, ma in Cina si intravede qualche timido segnale positivo
USA – CINA: quali sono i possibili scenari post Coronavirus
Negli ultimi abbiamo assistito ad un testa a testa tra USA e Cina per il primato di potenza economica, ma, ad emergenza Coronavirus conclusa, quale economia avrà vinto la partita?
La pandemia infatti potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici ed economici internazionali. La fine della Seconda Guerra Mondiale ha visto gli Stati Uniti imporsi come leader del nuovo mondo liberale. Adesso potrebbe essere il turno della Cina di affermare la sua leadership. Trump lo permetterà? Cerchiamo di capirlo insieme.
USA – Cina, guerra dei dazi e accordo di Fase 1: le tensioni prima del Coronavirus
Il 2020 si è aperto con la firma dello storico accordo di Fase 1. Questo ha sancito una tregua dopo circa due anni di guerra commerciale. In particolare, l’accordo ha previsto l’acquisto, da parte della Cina, di almeno $ 200 miliardi di prodotti americani entro il 2021. Ad interessarne sono i settori dell’energia, agricoltura, industria manifatturiera e servizi. Gli Stati Uniti, dal canto loro, si sono impegnati a tagliare della metà i dazi su $ 120 miliardi di merci cinesi a decorrere da settembre.
L’accordo di Fase 1 tra USA e Cina è parso fin da subito molto ambizioso. Il successivo diffondersi del coronavirus e la conseguente crisi economica hanno ulteriormente allontanato la possibilità di rispettarlo. Secondo il Center for Strategic and International Studies, nel primo trimestre 2020 le esportazioni americane verso la Cina si sono, infatti, ridotte del 10% rispetto all’anno precedente. Per l’intero 2020 sono previste pari ad appena $ 60 miliardi, una cifra di gran lunga inferiore rispetto a quella di $ 186,6 miliardi necessaria per rispettare l’accordo commerciale.
È di nuovo guerra commerciale tra USA-CINA?
La tregua è durata pochissimo. Il Coronavirus ha riacceso lo scontro tra le due superpotenze con accuse reciproche circa le responsabilità della sua origine e diffusione. La strategia di Trump appare chiara: mettere al centro della sua campagna elettorale lo scontro con Pechino con un duplice scopo.
Sul fronte interno, l’obiettivo è di spostare l’attenzione dagli errori commessi nella gestione della pandemia e riguadagnare il gradimento nei sondaggi tra gli elettori.
Sul fronte estero l’esigenza è di riaffermare la leadership americana messa in pericolo dalla Cina che sembra nelle condizioni migliori per avvantaggiarsi di un rimbalzo dell’economia. L’industria manifatturiera cinese è, infatti, ripartita prima di tutti e da Pechino è stata avviata un’operazione di “soft power” per cercare di migliorare la propria immagine internazionale.
La Cina ha, di fatto, svolto un ruolo di primo piano nella gestione dell’emergenza fornendo aiuti e attrezzature mediche e sanitarie a oltre 120 Paesi (USA e Italia inclusi) oltre che inviato squadre di medici a supporto delle nazioni più colpite.
La globalizzazione è finita?
La Cina rappresenta oggi un importante fornitore di beni intermedi in molti settori (elettronica, telefonia, computer, automotive). Nel 2010 ha superato gli USA nella classifica mondiale dell’industria manifatturiera e produce da sola il 28% dell’output globale.
La pandemia ha mostrato tutta la fragilità di questo modello di globalizzazione fondato sulla dipendenza da un solo Paese e probabilmente accelererà il processo di reshoring delle attività manifatturiere iniziato a causa della guerra commerciale.
Al riguardo, l’Amministrazione USA ha già allo studio diverse misure, tra cui incentivi fiscali e sussidi, per far rientrare le aziende manifatturiere americane che hanno delocalizzato in Cina e far perdere a Pechino il primato industriale e il suo ruolo nella supply chain globale.
Lo stesso sta facendo il Giappone che ha stanziato un fondo per aiutare le società giapponesi a spostare la produzione fuori dalla Cina. Se altri Paesi ne seguiranno l’esempio, il ruolo della Cina nella catena di approvvigionamento globale potrebbe cambiare profondamente.
Pechino, dal canto suo, sta effettuando enormi investimenti in tecnologia, intelligenza artificiale, robotica e blockchain al fine di ridurre la propria dipendenza dai paesi tecnologicamente più avanzati e così difendersi dalle ritorsioni statunitensi contro le sue aziende (Huawei, ZTE).
Chi, tra USA e Cina, uscirà più velocemente dalla crisi economica?
Scenario economico Cinese
La Cina è stata tra i primi Paesi a rimuovere le misure di restrizione e a riavviare lentamente l’attività produttiva. Il Pil del primo trimestre 2020 ha evidenziato un calo del 6,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Per la prima volta dal 1992 (anno di avvio delle rilevazioni statistiche), ha riportato un dato negativo.
Un timido segnale positivo arriva dalla produzione industriale di aprile. Questa è infatti rimbalzata del 3,9% su base annua, contro – 1,1% di marzo ed il crollo di gennaio e febbraio (-13,5%). Nessun segnale positivo si intravede, invece, nelle vendite al dettaglio. In aprile sono diminuite del 7,5% anno su anno, in misura comunque inferiore rispetto al -15,8% di marzo.
È evidente come l’attività economica cinese sia ancora lontana dai livelli di normalità. Pesano i dati dell’occupazione e soprattutto delle esportazioni in attesa che il resto del mondo torni a regime. Le autorità cinesi sono, però, fiduciose. Si attendono una ripresa già dal secondo trimestre. Per l’intero 2020, invece, il FMI ha previsto una crescita del 1,2%.
Scenario economico Statunitense
Gli USA, hanno chiuso gran parte delle attività produttive e commerciali dalla seconda metà di marzo. Già nel primo trimestre del 2020, hanno riportato una contrazione del PIL del 4,8%, il peggior dato dall’ultima recessione di circa dieci fa. Il numero degli occupati si è ridotto in aprile di 20,5 milioni. Inoltre, il tasso di disoccupazione è passato dal 3,5% di febbraio al 14,7% di aprile. Si tratta di numeri impressionanti che hanno messo fine al più lungo periodo di espansione nella storia contemporanea del Paese. Dati ancora peggiori sono previsti per il secondo trimestre, mentre per l’intero 2020 il FMI prevede una flessione del PIL del 5,9%.
Sulla base delle previsioni formulate dal Fondo Monetario Internazionale nel suo report di aprile, quello che maggiormente differenzia le economie cinese e statunitense è l’evoluzione della disoccupazione prevista esplodere negli USA dove il mercato del lavoro è caratterizzato da forte flessibilità.
Va ricordato che dopo la crisi del 2008 ci sono voluti circa 9 anni perché il tasso di disoccupazione tornasse ai livelli pre-crisi. Anche se quella attuale ha caratteristiche molto diverse dalla Grande Recessione del 2008, il ritorno alla piena occupazione negli USA potrebbe non essere così immediato, nonostante gli stimoli monetari e fiscali senza precedenti messi in campo da governo e FED.
Conclusione
Lo scenario è quanto mai fluido e la forte interconnessione tra i due Paesi rende difficile immaginare un vincitore assoluto. Da una parte, la Cina è nella posizione migliore per avvantaggiarsi di una ripresa economica più rapida. Dall’altra, il riesplodere della guerra commerciale con gli USA e di un sentimento anti – cinese da parte di diversi Paesi, a fronte della poca trasparenza mostrata da Pechino nella gestione della pandemia, sono un elemento da non trascurare e che può pesare su una situazione economica già critica.
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