Il 3 gennaio 2018 è entrata in vigore la Direttiva MiFID II (Markets in Financial Instruments Directive). La norma interesserà qualsiasi azienda coinvolta nella produzione, distribuzione e negoziazione di strumenti finanziari nell’Unione Europea.
Il contesto italiano
Se molti degli standard previsti dalla direttiva sono la normalità nella maggior parte dei Paesi europei, lo stesso purtroppo non si può dire dell’Italia, dove le pratiche industriali nel settore del risparmio gestito sono ancora viziate da meccanismi opachi e penalizzanti per i clienti e spesso segnate da conflitto di interessi.
In pratica, la natura degli accordi commerciali in essere può far sì che l’offerta di strumenti per il risparmio non sia legata al binomio qualità/prezzo bensì alla convenienza dei collocatori nel promuovere i prodotti “homemade” grazie alle consistenti retrocessioni percepite da parte dei gestori.
Nel complesso, la quota delle commissioni retrocesse, in media ai 2/3 dei costi di gestione di un fondo, raggiunge un ammontare pari a circa l’1,5% del Pil nazionale. Proprio per questo motivo le spese correnti associate all’investimento in fondi sono di gran lunga superiori in Italia rispetto al resto d’Europa.
Il problema è inoltre aggravato dalla scarsa educazione finanziaria che caratterizza il contesto nazionale. Una recente ricerca della Consob ha rilevato che più del 35% degli intervistati non è in grado di valutare la rischiosità associata agli investimenti. La quasi totalità degli italiani investe senza avere un orizzonte temporale di riferimento, senza prevedere obiettivi e senza conoscere il livello di rischio che è in grado di sopportare.
L’affidamento esclusivo a consulenti finanziari prescinde dalla modalità di remunerazione in quanto circa il 45% degli intervistati non sa quantificare il costo associato alla consulenza prestata e addirittura il 37% pensa che la consulenza sia a titolo gratuito. La poca conoscenza della materia rende gli investitori particolarmente vulnerabili a tecniche commerciali e di vendita: la modalità di presentazione delle informazioni diventa più rilevante rispetto alla qualità e all’adeguatezza del prodotto, incrementando il potere degli intermediari. Questo è il contesto in cui si va a inserire la norma.
Trasparenza di costi e servizi offerti
Lo scopo principale della MiFID II è quello di garantire maggiore trasparenza ai risparmiatori che si rivolgono a un intermediario per investire i propri risparmi. Una corretta interpretazione della MiFID II è quindi cruciale per il futuro di milioni di risparmiatori e per le loro famiglie. “Larga parte della MiFID II si concentra sulla trasparenza, proteggendo l’investitore e mettendo al primo posto i loro interessi”, ha dichiarato Connor Sloman, esponente di Morningstar.
La trasparenza della comunicazione dovrà riguardare tutte le fasi del rapporto tra intermediario e investitore, per questo la nuova normativa prevede vari livelli di obblighi informativi più stringenti. La MiFID II distingue a tal proposito tre diversi tipi di informative:
- Informativa ex-ante, che comunica tutti i costi secondo i nuovi standard prima di accedere al servizio. In questa informativa sarà anche necessario indicare in modo dettagliato tutti gli aspetti relativi all’ampiezza dell’offerta e alla frequenza con cui l’intermediario opererà valutazioni di adeguatezza dei prodotti. Vi si specificherà, inoltre, se la consulenza viene effettuata su base indipendente o meno. L’investitore dovrà disporre di un quadro chiaro circa le sedi di esecuzione degli ordini, le strategie di investimento consigliate, il perimetro di azione dell’intermediario e dei servizi offerti, oltre a informazioni specifiche sui prodotti proposti.
- Informativa una tantum, a discrezione e su richiesta specifica del cliente.
- Informativa ex-post, a cadenza almeno annuale, con il dettaglio dei costi sostenuti relativamente ai singoli prodotti e al portafoglio complessivo. Su richiesta del cliente il gestore dovrà quindi mostrare anche in forma analitica l’incidenza del costo sostenuto sul rendimento effettivo.
Un’altra novità è quella che obbliga gli intermediari a inviare almeno trimestralmente comunicazioni che includano il dettaglio degli strumenti su cui effettuano l’investimento. Dovranno inoltre fornire segnalazioni ad hoc in caso di scarsa liquidità di un titolo, oltre a informazioni specifiche sulle soglie di perdita e sull’eventuale effetto leva.
Gli investitori sapranno cosa stanno pagando
Innanzitutto, gli intermediari saranno obbligati a esplicitare tutti i costi in valore assoluto e non solo in termini percentuali. La maggior parte delle ricerche hanno infatti dimostrato che gli investitori al dettaglio comprendono più facilmente valori monetari che percentuali. Talvolta, inoltre, piccole differenze dei costi espressi in percentuale possono tradursi in grandi differenze in termini assoluti. Si aggiunga poi che i costi dovranno essere comunicati in modo esplicito e distinti in tutte le loro varie voci: costi del servizio, costi associati al prodotto e commissioni di retrocessione (inducements).
È richiesto inoltre che i costi di ricerca vengano scorporati dal costo di esecuzione delle transazioni. I costi di ricerca potranno essere addebitati solo qualora sia definito in anticipo un budget. Fino a oggi venivano indirettamente inclusi nel costo di gestione, d’ora in poi sarà invece necessario dichiarare in anticipo chi dovrà farsi carico di queste spese.
I costi di negoziazione (switch) saranno da giustificare con una valutazione costi/benefici per il cliente. Lo switch corrisponde alla vendita di uno strumento e al contestuale acquisto di un altro (non soltanto il passaggio da un comparto a un altro dello stesso prodotto). Per giustificare lo switch, il distributore dovrà dimostrare che i benefici del cambiamento sono superiori ai costi associati, anche attraverso la comparazione con prodotti equivalenti.
Conclusione
Siamo felici di vedere come le normative si stiano muovendo a favore degli investitori e di una più attenta educazione finanziaria.
Per chi invece vuole prendere in mano i propri investimenti e abbattere i costi di gestione, i broker online sono un’ottima alternativa.
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Fonti: Morningstar, Ansa.it, Eurlex
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